Critica

Senza titolo // di Nicla Calegari

Difficile è racchiudere in una breve presentazione la personalità umana e artistica di Fiorenzo Barindelli. Nato a Cesano Maderno il 29 Febbraio 1952 si laurea presso il Politecnico di Milano in architettura ma la sua sensibilità e il suo interesse per il mondo dell'arte lo portano presto molto più lontano. Collezionista da Guinnes dei primati di orologi Swatch fonda nella sua città natale il “World Museum”, progetto sostenuto da molti personaggi del mondo dello spettacolo e apprezzato a tutti i livelli, museo aperto dal collezionista per esporre e condividere la sua immensa collezione (“7000 SWATCH” recita la fotografia d'autore diventata famosa di Barindelli immerso tra i suoi amati orologi) con i suoi concittadini e chiunque volesse immergersi in questo viaggio nel tempo.
Sono però gli anni '70 che segnano una svolta fondamentale nella vita di Fiorenzo; oltre che architetto e collezionista egli diviene artista. In questi anni infatti dipinge le sue prime opere ad olio stimolato dall'amico pittore Roberto Villa.
Dopo un'interruzione durata più di vent'anni Barindelli ricomincia a fare arte, la prima personale dal titolo “Tracce dell'immaginario” si svolge nel Settembre del 2006 e in quest'occasione Fiorenzo Barindelli compie il primo passo verso un percorso artistico complesso e stimato, il primo passo verso una scalata sempre più alta costellata da riconoscimenti e soddisfazioni.
Per citarvene solo alcuni; nel 2009 vince il Premio della Critica al Festival Internazionale dell'Arte di Roma, nel 2010 gli viene conferito il diploma d'onore alla Biennale Internazionale di Asolo e si aggiudica il terzo posto al 10° Premio Internazionale di Novara. Viene inoltre inserito nel “Catalogo d'Arte Moderna” edito da Giorgio Mondadori.
Barindelli comincia a dipingere prendendo ispirazione dalla optical art, corrente nata negli anni '60 che vede i suoi maggiori esponenti in Vasarely, Riley e Buren, artisti che incentrano la loro ricerca sul raggiungimento di un'illusione ottica sempre più elaborata basata sul movimento. Barindelli però molto presto fa esplodere la sua personalità che lo conduce verso una ricerca lunga e sempre più complessa. Continuando a lavorare sulle forme geometriche, sui colori e sul movimento egli sfonda i limiti della optical portandola ad un livello tale di evoluzione da raggiungere la tridimensionalità avvicinandosi molto di più alla filosofia e alla profondità concettuale tipica dell'astrattismo spaziale nato in quegli stessi anni, molto più vicino quindi a Fontana o a Manzoni.
I complessi giochi geometrici di linee e colori di Barindelli non si esauriscono mai infatti solo in giochi geometrici ma si caricano di una forza, di una energia piena di tensione e profondità che coinvolge lo sguardo di chi li osserva in un enigma senza via di uscita all'insegna di una rigorosa libertà. Questa ricerca deriva proprio dalla personalità dell'artista, complessa e curiosa, un Ulisse dei nostri giorni, che non accetta i confini imposti dal tempo e dallo spazio ma che con la sua arte ogni giorno sfida in una partita senza fine i suoi e i nostri limiti munito della sua grinta e delle sue squadre.
Le opere dell'artista si basano infatti su un preciso rigore e una tecnica estremamente complessa di intersezione e misurazione di linee prospetticamente studiate per giungere alla complessità geometrica tipica delle sue opere completate, poi, dal colore.
Il colore è considerato un elemento fondamentale che l'artista studia meticolosamente in ogni sua graduazione arrivando ad ottenere scale di toni del tutto nuove, personali e preziose che accentuano l'assoluta tridimensionalità dell'opera aiutando il nostro occhio a incantarsi e imprigionarsi ancora di più nelle sublimi composizioni che Barindelli compone.

Pittore dell'armonia geometrica // di Pasqualino Colacitti

Il filosofo Platone, nel dialogo con Timeo, scrive di un Demiurgo, ordinatore dell’universo tutto geometrico. Il poeta veronese Gaetano Aleardi (1812-1878), detto Aleardo Aleardi, professore di estetica dell’Università di Firenze, in una poesia, chiede alle stelle: “Chi è Dio?” “Ordine, mi rispondono le stelle”. Diverse opere figurativa del passato sono nate da un iniziale tracciato geometrico, ma solo con Vassily Kandinskij, la geometria è diventata protagonista assoluta. Il Maestro russo ha compito una delle più radicali rivoluzioni dell’arte del Novecento con la geometria piana e con quel “voler rendere visibile l’invisibile”, donando ad alcuni grandi maestri del suo tempo, la più grande libertà creativa contro ogni plurima imitazione e interpretazione della realtà in ogni suo elemento. Fiorenzo Barindelli sa che l’architettura d’ogni epoca è costruita con armonici rapporti tra geometria e matematica, tra scienza e arte. Pitagora sviluppava la geometria con il rapporto armonioso della matematica che a sua volta si rapportava con la musica. Se osserviamo la pittura di Barindelli, possiamo supporre che abbia saputo filtrare la lezione del trio: Platone, Pitagora e Kandiskij per reinventare un suo piccolo cosmo d’armonia geometrica. La sua attività artistica parte da un iniziale astrattismo statico, essenziale, che, evidenzia un’ascendenza dall’astrattismo com’asco degli anni trenta che ha avuto il Capo in Mario Radice. Con gli anni il suo stile si evolve verso una pittura più personale dominata da un dinamismo armonico con una profondità spaziale d’una prospettiva antirinascimentale e poetica, frutto della rivoluzione cubista d’inizio Novecento e di Kandiskij. La geometria dell’artista cesanese diventa però più complessa perché integra la geometria piana con la solida con una tecnica magistrale ed una variazione cromatica tonale ricchissima, arricchita da una luce cristallina che sviluppa volumi plastici di rara purezza espressiva. L’illusione ottica ci fa pensare ad un altro grande maestro del Novecento che possa aver sollecitato la speculazione mentale del Barindelli, ungherese di nascita e francese di adozione, Victor Vasarely a cui, la Triennale della Bovisia, ha dedicato una vasta retrospettiva con centocinquanta opere, nel decennale della sua morte, conclusasi il 27 gennaio del 2008. una delle sue peculiarità è la tecnica della composizione cromatica a zone già sperimentata da alcuni futuristi tra cui: Nicola Diulgheroff (vedi: “Futurismo, I grandi temi, 1909-1944, pag. 165, edito da Mazzotta”). Ma c’è pure la pittrice belga Evelyn Axelle che negli anni ‘60 ne fece un uso frammentario in un complesso catalogato come arte pop (vedi: La pop art 1956-1968, Silvana Editoriale, pag. 82).
Può darsi che Barindelli non conosca Nicola Diulgheroff ed Evelyn Axelle ma se pur li conoscesse, a lui va il grande merito di aver assimilato la loro tecnica, facendola però diventare da frammentaria ad assoluta protagonista, inserendola in un complesso unitario di raro rigore espressivo.

Senza titolo // di Sergio Dangelo

“Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste e nulla più,“ dichiara Oscar Wilde. Ma, nel mondo dell’arte vi è anche cosa peggiore; esistono i dichiaratori, maniaci, della morte dell’arte, appunto.
Nel continuo nominare defunzioni (l’ideologia, la logica elementare, il congiuntivo azzerato) non resta al pittore che la fuga a otto gambe verso la propria catapecchia d’avorio (non la torre, già sequestrata dal capitale ingordo) e chiuso, chiusissimamente operare a salvezza del mestiere. L’immagine, sappiamo, è per costituzione eterna e salva. Barindelli è riuscito (miracolo? saggezza? supervolontà?) a vivere, a fare quadri senza restare clandestino, a mettere in pratica tutto quanto non ha niente da spartire con l’esilio; a dire la tecnica eccellente descrittiva dei labirinti, il colore ultra moderno ma antichissimo per estasi, una geometria che si espande in vita propria. Tra i suoi rings per boxeurs, angeli celesti Barindelli inventa immagini lunghe da pensare, lunghe e meticolose da eseguire, lunghe, allungate e stese all’infinito, arcobaleni in festa generosi dove ai sette colori conosciuti aggiunge trenta e più varianti sapientissime; penso, davanti a un suo “Tridimensionale” a quattro dimensioni, alla tristezza del solo giallo di Van Gogh, agli artefici del mentalismo incolore e al caso insolito di una pittura “fredda” che si “arroventa” se guardata intensamente.
Come fanno gli osservatori delle fate, che consigliano di osservare gli elfi dapprima “indirettamente”, così suggerisco si indaghino le sue immagini in una splendida fotografia “interpretativa” di Dalmati, l’artista sorride emergendo da una catasta di carte stropicciate, quasi bandiere di una festa sospesa.
Barindelli non esiste, vive e con lui vivono bene distesi a contrastare il cumulo di cui detto, i diecimila colori che, anche grazie a lui, significano l’universo non solo per l’oriente ma per ogni specchio, fiaba e punto cardinale; linea e misura “dell’amore verso l’arte”…”

La Poesia della Razionalità // di Giancarlo Da Lio

Gli studi di architettura sembrano già aver indirizzato Fiorenzo Barindelli verso un genere di arte neogeometrica, strutturale, optical. Quasi una condizione naturale ma spesso non scontata. Anche perché i generi selezionati hanno una storia, un percorso che qualcuno potrebbe considerare chiuso. Ma in questo caso la sfida si accentua per poter dimostrare una verità, un nuovo percorso, quasi irrealizzabile. Ma tutti siamo partiti da punti di riferimento. Importante è non lasciarsi andare al magnetismo. E la sfida è ancora più ardua in un inizio di millennio che si deve confrontare con un inizio di 900 che poco o nulla sembra lasciarci spazio alla creatività. Ma Fiorenzo Barindelli si pone nella condizione di non rifiutare il confronto o meglio l’incontro con l’altro. Una via ancora valida per non cadere nell’ovvio o solo in una fase autocelebrativa. La sua generosità è una leva in più per chi vuol essere e non solo apparire.

Il Sogno Continua // di Giancarlo Da Lio

Fiorenzo Barindelli oltre che essere un attento osservatore possiede il germe del collezionista. Un germe che conosco molto bene poiché mi ha colpito e continua a colpirmi a cadenze fisse con il rincrudirsi della malattia. Una malattia sana che ci fa riconoscere subito l’altro. Un altro colpito dal medesimo virus. Un morbo che spesso ci isola dal resto del mondo. Fiorenzo Barindelli la sua passione l’ha espressa per un mito del nostro tempo: l’orologio. Un orologio nato nella patria di questo meccanismo ma che non ha voluto competere nel settore dei metalli nobili ma utilizzando la più banale e spesso incompresa plastica. La sua collezione enorme, completa, da guinnes dei primati l’ha fatto conoscere al mondo.
Ora la fase 2. Un’operazione culturale che perfeziona la fase della raccolta. Barindelli è troppo intelligente per fermarsi ed ecco l’invito agli artisti visivi a proporre un loro intervento. Un intervento che rispecchia la propria poetica. Un’operazione che investe il network. Molti gli artisti multimediali attratti dalla provocazione di Barindelli. Un’operazione che lo porta al di là del concetto di semplice orologio. L’atto creativo riveste ogni momento della nostra attività. Anche questo ci fa essere artisti e non è cosa da poco.

Declinare l’impossibile // di Lucio Del Gobbo

Fiorenzo Barindelli sperimenta nella composizione di forme e colori l’indole classica del suo subconscio; vi enuclea la chiarezza, la positività, il senso di armonia, l’attitudine a trascendere il tempo e lo spazio, e persino a coniugare ciò che conosce e sperimenta con il mare magnum del mistero intorno. Si evidenzia in ciò che realizza la costanza e la risolutezza del suo carattere, ma anche l’abbandono al nirvana di forme spiraliche che nel dinamismo delle volute sembrano stemperare l’evidenza del tempo e di colori che tuttavia segnano stagioni vissute: vero e proprio regesto esistenziale.
La sua visione vive un’ambiguità dimensionale; non è chiaro se l’apparente gigantismo delle forme sia conseguenza di uno “scavo”, di una ricerca che porti all’ingrandimento di un tessuto infinitesimale, microscopico, oppure sia un’evidenza “esterna” ad incombere maestosa e dominante, come reperto di un dominio remoto, già esistito ma che permane in un’aura di maestosità: colonne tortili, spirali cosmiche, orbite, le cosiddette “ruote del tempo”.
Proiettate in un presente o più verosimilmente in un futuro tecnologico tali forme suggeriscono sensazioni di libertà, sembrano opporsi alla razionalità a cui si ispira in generale l’architettura, anche se, inopinatamente collaborano a un immaginario esercizio del costruire.
Si impone in esse la razionalità, la disciplina, un rigore realizzativo che praticamente azzera quell’alea che fatalmente tende ad inibire l’artista all’inizio di ogni impresa.
Barindelli accoglie la sfida, non la evita ma si impone di normalizzarla e risolverla facendo leva sulla passione, sulla capacità di metodo, sulla resistenza di lavoro. La parte di avventura che l’impresa creativa comporta l’appoggia comunque su un presupposto di tenacia che è dato dalla sicurezza in se stesso, da una determinatezza che si offre già da sé come garanzia di risultato. Ogni opera porta il segno di una sfida e al tempo stesso di un dominio raggiunto, di una razionalità vincente; senza che si cancelli totalmente il ricordo e l’impressione di una sfida comunque vissuta e consumata. Ogni sua opera si impone come soluzione di razionalità in un’impresa che si prefigge soprattutto l’armonia. E forse è questa affiorante antinomia che rende intrigante la pittura di Barindelli: il prospettare in termini di razionalità ciò che nasce e cresce da un travaglio poetico.
Un classicismo, il suo, di provenienza esistenziale, che indica l’assolutezza geometrica come soluzione fittizia di una avventura impossibile. Una sorta di costruttivismo in una declinazione non meccanicistica ma lirica. Forme dinamiche di suggestione aerea. In generale si ha una trasfigurazione dell’oggetto rappresentato; benché definito e nitido, si nota in esso una dichiarazione di poetica che esonda dalla sfera tecnica e tecnologica a quella onirica e spirituale.
Una avventura in atto, che in termini operativi è armonicamente divisa tra gli spazi ampi dell’architettura e quelli infiniti dell’arte.

Il messaggio dell'arte // di Grazia Chiesa

In ascolto del messaggio dell’arte di Fiorenzo Barindelli: fasci di energie potenti presenze rassicuranti in arcani spazi di silenzio rese visibili nel loro splendore per donarci luoghi di positive meditazioni

La musica dell'io // di Matteo Galbiati

Pittore. Nato a Cesano Maderno il 29 febbraio 1952, dove vive e lavora. Dipinge le sue prime opere ad olio negli anni ’70, stimolato dall’amicizia con il pittore Roberto Villa. Ha partecipato a premi e mostre nazionali ed internazionali tra cui, nel 2007, alla 52ª Esposizione Internazionale d’Arte la Biennale di Venezia in eventi collaterali. Ha realizzato una personale presso la sede UBS di Manno-Lugano e ha esposto alla CVB Gallery di New York City.
Nel 2008 le sue opere sono presenti a Copenaghen, Pechino Art Bites, Buenos Aires, Montevideo, Bergamo, Firenze, Amburgo, Venezia e Roma.
C’è la musica dell’io, il sentimento interiore dello spazio che trova misura e regola nell’ordine della pittura. La visione purificata dei dipinti di Fiorenzo Barindelli dà, alle immagini, correnti dinamiche, ben armonizzate strutturalmente. Nei suoi sviluppi circolari si possono scorgere macropassaggi di movimenti galattici o micropassaggi intimistici, a seconda della percezione ottica. Sintesi formali precise e quasi fredde caratterizzano l’opera di questo autore, le cui strutture plastiche, nelle raffinatezze degli intrecci e nello spessore grafico, producono una tensione pittorica che astrae dallo spazio e dal tempo e vengono percepite in un’articolata bellezza. Tutto sembra svilupparsi secondo precisi schemi logici, con immagini limpide che fanno emergere una pittura nella quale, alla razionalità, si unisce l’intensità psicologica di stimoli intimistici.

Le meccaniche della pittura // di Matteo Galbiati

Le meccaniche della pittura riconoscibile, lenta e codificata di Fiorenzo Barindelli che si offrono in evoluzioni di forme e cromie. La sua scelta lessicale è tributaria di un rigore rispettoso e quasi scientifico che, proprio da un’apparente e ovvia uniformità, trae l’energia per manifestarsi pienamente in una ripetizione differente mai scontata. La tensione espressa dal colore e dalle dinamiche illusoriamente mobili, che le geometrie creano, spostano gli equilibrismi dei passaggi tonali e delle geometrie oltre il bordo della tela, alla ricerca di nuovi ed inattesi pronunciamenti. Un racconto che si fa opera dopo opera.

Pittore di grande talento e di notevole mestiere // di Pier Franco Bertazzini

Da poco conosco Fiorenzo Barindelli. Mi ha colpito l’uomo per l’esuberante carica vitalistica e passionale, ammiro per la sua poetica, per gli esiti estetici conseguenti ad un autonomo linguaggio segnico impreziosito da scelte cromatiche elaborate con lunga appassionata ricerca.
Giovanissimo si interessa di arte figurativa e anche dipinge, stimolato dalla frequentazione dell’amico Roberto Villa, compaesano e coetaneo, “pittore di grande talento e di notevole mestiere” purtroppo precocemente mancato.
Entrambi partono dal figurativo per arrivare “all’astratto, all’essenziale, alla purezza”.
Entrambi, culturalmente interessati, hanno molte e ghiotte occasioni di “momento didattico”. Mostrano preferenze in genere per gli astrattisti, in particolare per il gruppo comasco da Rho a Radice; sono attratti infatti da un complesso sistema di equilibri e di intersezioni di piani e di colori, tendente ad effetti di movimento virtuale, in composizioni che sentono il fascino del neoplasticismo e del postfuturismo.
Ma se queste osservazioni sono certamente documentate, occorre però subito dire che Barindelli tiene occhi e orecchi ben aperti ed in più direzioni, recepisce, assimila, riflette, medita, ma rimastica e interiorizza personalizzando.
Tanto che, presentando alla prima personale, in quello splendido contenitore che è Villa Tittoni Traversi, le sue opere – Scomposizioni, Sovrapposizioni, Luminescenze, Tridimensionali, che sembrano giustificare certe contaminazioni di ispirazione e di esecuzione, titola però “Tracce dell’immaginario”, rivendicando autonomia di programmazione e una personalizzazione del fare pittura che esplicita sensibilità ed intuito nel comporre e nell’esprimersi attraverso moduli e tecniche che devono sempre affinarsi e perfezionarsi.
Infatti, se fossi tentato di trovare formule piuttosto sintetiche e significanti del molteplice e variopinto panorama pittorico elaborato dalla fervida dinamica creatività di Barindelli, dovrei acconsentire a termini apparentemente contraddittori: libertà e rigore.
Libertà fantastica di interpretare i dati della realtà che ci circonda, di passarli attraverso il filtro slontanante della memoria in un processo di intimizzazione, di meditarli approfondendoli e personalizzandoli nel filtro trasfigurante della fantasia e dell’immaginazione, ricreandoli e trasformandoli in linee, forme, ritmi concettuali che ne sono i simboli, impreziositi dai colori, ciascuno dei quali, opportunamente selezionato, si offre all’occhio estasiato del fruitore in una gamma copiosa di toni. Ma Barindelli è un architetto e tale libertà, che può apparire illimitata, la domina e la definisce entro limiti di rigore geometrico.
La geometria è per Barindelli ordine e misura delle cose: quadrati, rettangoli, triangoli, circoli, tubi, che si compongono, si scompongono, si sovrappongono, si allineano, si intersecano, floride visioni luminescenti per giungere, extrema ratio, al tridimensionale.
Enucleazioni anelanti alla costruttività architettonica, forme create, tracce immaginate, avulse dalla realtà, astratte quindi, ritmi compositivi fascinosi, suadenti, armonici per la buona disposizione delle parti e della loro proporzione, captanti per i valori luministici e cromatici.
L’artista rincorre con continua mutazione un suo mondo interiore dominato dal silenzio, dalla meditazione, da un processo di ascesi. E il fruitore ne rimane avvinto, trattenuto in contemplazione come di fronte a un paesaggio o ad una architettura estasianti.
Sono – pensavo passando per le sale del Palazzo Rese Borromeo che le accoglieva – le tavole di Barindelli fogli di diario di una vita dedicata all’arte con passione e per ricerca di gratificazione interiore, sono raccolta di immagini di un disegnatore spontaneo, di un artista dal segno inconfondibile e dalla straordinaria capacità creativa, di un illustratore sapiente dei moti della coscienza e delle pulsioni misteriose dell’inconscio.
Immagini incantate ed estatiche, nelle quali non cessa la musica del cuore né mai inaridisce la vena poetica, visioni terse, distese, davvero serenatrici, come è precipua riconosciuta funzione dell’arte e della poesia.

Esperienza estetica // di Sabrina Arosio

Lasciare che l’occhio si perda nelle geometrie di Fiorenzo Barindelli è molto più di un’esperienza estetica. Percorrere, infatti, i labirinti di linee che in modo estremamente pulito e ordinato danno vita alle composizioni dell’artista è un processo etico: significa partecipare, condividere con lui alcuni momenti della sua vita, ascoltare episodi che lo hanno ispirato e fruire tanto intensamente dell’opera fino provare le medesime emozioni che ne hanno presieduto la creazione. Tutto questo accade perché nel lavoro Fiorenzo Barindelli è capace di infondere demiurgicamente se stesso: nelle sue composizioni sa trasfondere quel senso di umanità che contraddistingue chi sa amare da chi non riesce utilizzando un linguaggio che oltrepassa la figura e va direttamente alle radice della poesia formale.
E' nell’essenzialità della geometria pura che l’artista attinge per definire il proprio alfabeto, sia per una naturale inclinazione al governo di linee e misure, sia perché è sua convinzione che il dato espressivo passi più velocemente attraverso la costruzione di figure archetipe capaci di evocare spazi e tempi tanto lontani quanto presenti.
E il divario tra l’artista e il pubblico, inevitabile in molta arte contemporanea, qui svanisce. Barindelli pensa, schizza, progetta, realizza non perdendo mai di vista l’equilibrio millesimale che si instaura tra la linea perfettamente concepita, il pigmento steso con immensa maestria, praticamente senza errore fin dal primo passaggio, e la scelta tonale soppesata: il colore, anche in questo caso, è elaborato personalmente dopo continue prove di mescolanza che richiedono ore intense di lavoro e un occhio più che allenato a cogliere il minimo disequilibrio. Ecco perché la gestazione di ogni opera è estremamente lunga e richiede grande meticolosità: in ogni fase esecutiva Barindelli vi trasferisce, inevitabilmente, la sua quotidiana esperienza esistenziale.
L’arte, che si declina in un classicismo geometrico, come l’artista ama definirlo, è un’avventura, o meglio una sfida recente, frutto però di una elaborazione concettuale durata anni e che si sta esprimendo oggi in una straordinaria fecondità. Le composizioni sono andate costantemente complicandosi: partito dalla scomposizione del quadrato e dall’uso di colori primari, Barindelli ha costruito in questi anni un vero e proprio sistema che ha visto la linea, nelle sue naturali evoluzioni, oggi chiudersi in un anello e scomporsi in bande cromatiche a tinta piatta che sfiorano oltre una trentina di colori, per un effetto migliorato non solo sul piano del volume, ma anche del movimento. Le geometrie di Barindelli, infatti, non sono mai statiche, ma cariche di energia vitale che promana percorrendo con l’occhio quei tracciati sui quali l’artista è stato piegato per ore, sperimentando nella carne la fatica del fare, ma soprattutto quella del credere e di andare avanti in un’esperienza artistica contro ogni logica di mercato che ne predefinisce lo stile in nome di variabili che non hanno nulla a che vedere con l’arte.

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